Priorità alla scuola: a Novara la protesta si fa intergenerazionale

Un presidio permanente in città per una riflessione sul concetto di scuola. Tutti i venerdì per la Dad in piazza e il sabato per “ripensare l’istruzione”

pubblicato 18 Marzo 2021 aggiornato 21 Marzo 2021 12:53

Un presidio permanente per provare a ripensare completamente il concetto di scuola.

Anche ieri, quando il comitato Priorità alla Scuola di Novara ha scelto di scendere in piazza e protestare contro la chiusura delle scuole disposta dal governo Draghi per l’emergenza Coronavirus, lo ha fatto prima di tutto in quest’ottica.

Ormai da qualche settimana, il loro tentativo di alzare la voce contro la didattica a distanza prosegue nonostante le chiusure. Come tengono a precisare, non deve essere letto solamente come una ribellione nei confronti delle misure, ma un momento di riflessione su tutto il concetto di scuola per come lo abbiamo conosciuto fino a oggi.

“La Dad in piazza”: foto del Comitato priorità alla scuola – Novara

E se la protesta messa in atto dai genitori di Priorità alla Scuola è finalizzata a rimettere al centro i diritti alla socialità e alla crescita dei bambini, quella degli studenti ha una connotazione diversa.

“Anche se la protesta è la stessa – spiega Federica Mangano, insegnante di scuola primaria all’istituto comprensivo Rachel Behar di Trecate – cambia il veicolo. Noi il venerdì e il sabato scendiamo in piazza per studiare, per confrontarci, per imparare, non solo per protestare. È questa differenza che rende intergenerazionale tutta la protesta, è il fatto che io sia in piazza a insegnare assieme a mia mamma. Prima questi movimenti terminavano in una generazione, e nelle altre vedevano uno scontro: oggi è nell’unione tra queste che io vedo un punto di forza”.

“Noi vorremmo che si pensasse alla scuola non solamente come un luogo dove recarsi fisicamente – continua Luca Galuppini, studente dell’Università Statale di Milano -, ma un vero e proprio soggetto che fa qualcosa di diverso dal riempire di conoscenze noi studenti come se fossimo contenitori. Il sottointeso è che la scuola ci serve solo per fare lezione imparare delle cose che ci va bene così. Per me è sorprendente il fatto che si dica che al Dad potrà continuare, anche quando tornerà tutto alla normalità. Cioè questo è uno dei motivi che spinge in piazza ”.

Massimo Debernardi, docente di filosofia al liceo scientifico Antonelli di Novara

Eppure, oggi una delle necessità di Priorità alla Scuola è quella di chiamare a raccolta quanti più studenti possibili: non tantissimi tra i quasi cento manifestanti in protesta sabato.

Secondo Andrea Colucci, rappresentante d’istituto al liceo Antonelli di Novara, alla base di questa scarsa presenza ci sono due motivi: la disinformazione e l’opportunismo.

“La disinformazione è legata principalmente al fatto che oggi, i ragazzi non hanno compreso che – sulla base dei dati che abbiamo a disposizione – non c’è nessuna evidenza scientifica che la scuola sia un luogo di contagio. L’opportunismo, invece, dipende dal fatto che a interessarsi concretamente alla scuola non sono poi così tanti. Anzi, per molti di loro la Dad sta risultando comoda, gli basta stare sul divano, magari anche con la media più alta di due punti. Ma quasi nessuno di loro capisce che i due anni di matematica che stiamo perdendo ora, poi, si trasformano in problemi seri, in materia di preparazione e in fatto di competenza”.

Foto del Comitato Priorità alla scuola – Novara

“Noi come associazione non ci muoviamo solamente per la Dad – dice Aurora Pardi -. Perché questa, com’è vissuta oggi, è il frutto delle problematiche che c’erano anche prima, quando si lavorava in presenza. Per questo noi vogliamo avviare un processo di rivalutazione della didattica in generale, cercando di non limitarsi al metodo nozionistico. Noi non siamo contenitori da riempire. Il nostro pensiero non è solo ‘voglio tornare a scuola’, ma tornarci per migliorare le possibilità che vengono date agli studenti. Quello che pensiamo è che c’è un motivo se da studenti siamo interessati solamente a materie come l’economia o simili piuttosto che all’istruzione in generale. Noi vorremmo cambiare questo”.

Andrea Licata, anche lui studente dell’Università Statale di Milano, ha scelto di portare in piazza una riflessione dal titolo “I figli di nessuno e la ghettizzazione ai tempi del covid. Dov’è finita la scuola inclusiva e di tutt*?”

Lui e Federica si soffermano sui “Bisogni educativi specifici, disturbi specifici dell’apprendimento e autismo: le tre categorie che si salvano dal lockdown, che sono esclusi dalla sospensione delle attività didattiche in presenza. È così che rendiamo la nostra scuola inclusiva?
I bambini “difficili” e “diversi” che si prova a far finta di omologare, di rendere meno complicati, di accompagnare nel loro percorso di apprendimento. Gli iperattivi, quelli che non sanno stare seduti con le gambe sotto al banco, e i “figli di nessuno” di Hayden. I dislessici, quelli che rimangono indietro, i disgrafici, quelli che hanno bisogno delle mappe e dei dieci minuti in più per le verifiche. “Quelli con il sostegno”: per fare chiarezza. Bambini fragili e abbandonati – in alcuni casi – si ritrovano soli. O nel migliore dei casi si ritrovano in gruppetti di “speciali”. In quelle classi vuote, in aule vuote, desolate. Soli, ma con la Maestra o il Maestro”.

“Per riuscire in questo cambiamento – afferma Serena Checcucci, docente all’istituto tecnico Pier Luigi Nervi di Novara e in prima linea nella protesta – vorremmo dar vita a un presidio permanente: ogni settimana in una piazza diversa della città, non solo davanti alle scuole. Noi vorremmo davvero essere tra le persone e far arrivare il nostro messaggio”.

Appuntamento quindi a Novara, tutti i venerdì mattina per la “Dad in piazza”, e tutti i sabato per un momento di libertà ma anche e soprattutto di discussione per provare davvero a immaginare i contorni di questa nuova scuola.

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