Non c’è più Morales, contessa…

Il Sud America si infiamma, riparte il Russiagate italiano, muore il califfo e l’antisemitismo e i messaggi d’odio verso Liliana Segre non finiscono mai.

29 Ottobre 2020 14:01

Questa è la quinta puntata di Fixing News, un progetto di Blogo in collaborazione con Slow News. Esce una volta a settimana e se vuoi saperne di più puoi cliccare qui per leggere il “manifesto”. Se invece vuoi ascoltare questo articolo in formato Podcast, lo trovi subito qui sotto, (ed anche su Spreaker, Spotify e sulle altre piattaforme). Se hai suggerimenti, idee, richieste per le prossime puntate, scrivici a fixingnews@blogo.it.

La settimana tra il 22 e il 28 ottobre del 2019 fu una settimana segnata dalla violenza. In Sud America, prima in Cile, poi in Bolivia si svolsero — per motivi diversi – proteste che portarono all’uccisione di diversi manifestanti. Nel Regno Unito, invece, vennero trovati in un container 39 corpi di migranti morti nel tentativo di sbarcare in Inghilterra.

In Italia ci furono due tipi di violenza a dominare la conversazione. Le violenze fisiche: in quella settimana fu ucciso Luca Sacchi, ti ricordi? Il fatto di cronaca ed ebbe strascichi mediatici che durarono mesi. E le violenze verbali: non una novità, purtroppo, contro Liliana Segre.

Nel frattempo, sempre sul fronte interno, fece molto discutere la derubricazione dello scandalo Mafia Capitale a semplice atto di corruzione, mentre decisamente molte meno furono le reazioni alla nuova tappa del processo di revisione dell’ergastolo ostativo — ne abbiamo parlato proprio su Fixing News due settimane fa — che fece un passo in avanti grazie a una sentenza della Consulta, ma che continuava a non interessare più di tanto l’opinione pubblica.

Successero anche altre cose: a un anno di distanza magari le ricordiamo a stento, ma ci tennero occupati non poco.

Moscopoli

Il 21 ottobre del 2019, su RaiTre, andò in onda un servizio di Report dedicato allo strano incontro avvenuto in un hotel di Mosca, il Metropol, giusto un anno prima, il 18 ottobre del 2018, tra Gianluca Savoini e alcuni cittadini italiani vicini alla Lega e dei personaggi russi vicini a Putin e alla destra russa.

Quello non fu esattamente l’inizio della parte italiana dello scandalo Russiagate, chiamato anche Moscopoli, che in realtà era iniziato mesi prima con la pubblicazione di un servizio su l’Espresso e, successivamente, di un longform su Buzzfeed (in cui vennero pubblicati stralci di registrazioni proprio di quell’incontro al Metropol). Ma fu il momento in cui la politica italiana si rese conto che quei fatti non si potevano ignorare.

Come molte altre storie, anche questa è stata sulla cresta dell’onda per un po’ e poi è stata risucchiata via, finita nel dimenticatoio. A distanza di tanti mesi, infatti, quell’indagine che fece scandalo non è più al centro del dibattito, ma è soltanto uno dei “guai giudiziari” che ha coinvolto la Lega di Matteo Salvini, raccontati anche in un libro dai giornalisti che per primi ne scrissero su L’Espresso.

Comunque, Savoini aveva fatto ricorso contro le registrazioni al Metropol, ma la Cassazione gli ha dato torto legittimando le indagini. Poi il suo nome è venuto fuori per altre questioni ma quella vecchia vicenda, si legge in un pezzo non firmato su Repubblica, potrebbe anche finire con una richiesta di archiviazione.

L’ombra del califfo

Quella settimana di fine ottobre fu anche la settimana di uno storico annuncio fatto dal presidente americano Donald Trump: il 27 ottobre del 2019, infatti, su Twitter, venne confermata la morte di Ibrāhīm ʿAwed Ibrāhīm ʿAlī al-Badrī al-Sāmarrāʾī, meglio noto come Abu Bakr al Baghdadi, il califfo dello Stato Islamico.

Per circa cinque anni Al Baghdadi era stato l’incubo dell’intero mondo occidentale e l’ISIS, di cui si era autoproclamato califfo nel giugno del 2014, era stato il mostro finale che a un certo punto sembrava imbattibile e quasi destinato a sbarcare in Europa. Non successe, per fortuna, e da molti mesi dell’ISIS non parliamo quasi più. Ma anche se è scomparso dai radar dei media occidentali e se in Siria il territorio sotto il suo controllo è stato sostanzialmente “liberato”, c’è chi pensa che non sia ancora l’ora di dichiararlo archiviato.

Per capire un fenomeno come quello dell’ISIS, complesso e ramificato, l’informazione puntiforme dei quotidiani, che racconta solo i momenti più cruenti e sanguinosi, non basta. Serve profondità, tempo e distanza.

Se vuoi leggere qualcosa che rimarrà valido per un bel po’ su quel periodo, parti da qui. È un dossier realizzato da ISPI nel giugno del 2019 e racconta l’ISIS cinque anni dopo la sua nascita.

Bolivian Stories

Un anno fa sui media circolava una storia strana che riguardava le elezioni in Bolivia: si raccontò di un sollevamento popolare cominciato il 22 ottobre 2019 contro quello che all’epoca era stato dichiarato il vincitore, Evo Morales.

In seguito a quelle proteste, che causarono anche parecchi morti, Morales fu costretto alle dimissioni e alla fuga in Messico. Un paio di settimane dopo, il 13 novembre, la senatrice dell’opposizione Jeanine Áñez si autoproclamò presidente. Per Morales fu un colpo di stato, ma non secondo la maggior parte delle diplomazie occidentali, in primis gli Stati Uniti (e l’Unione Europea seguì la medesima linea). Ma cosa successe veramente?

A un anno di distanza, le elezioni boliviane si sono ripetute (erano stato programmate a maggio, ma il Coronavirus le ha fatte spostare al 18 ottobre scorso) e ha vinto il candidato del partito di Morales, Luis Arce. Oggi possiamo riprendere quella domanda: «ci fu un golpe?» E possiamo valutare la situazione molto meglio. Per farlo ti suggeriamo di leggere questo articolo dell’Associated Press e questo report di Human Rights Watch.

Problemi di memoria

Un rapporto dell’osservatorio sull’antisemitismo, pubblicato il 28 ottobre, lanciò un allarme legato ai messaggi di odio che ogni giorno colpivano la senatrice Liliana Segre. Giusto qualche giorno prima, sempre a tema hate speech a infiammare i social c’era stata una proposta, di segno completamente opposto, partita da Alessandra Mussolini, che arrivò a proporre il paradossale reato di “ducefobia” per colpire chi, a suo dire, infangava la memoria di suo nonno.

A un anno di distanza il tempo ha trascinato nel dimenticatoio la provocazione di Alessandra Mussolini, che oggi è nel cast di Ballando con le Stelle su Rai1. Ma purtroppo l’antisemitismo è ancora un problema molto serio in Italia.

E anche quella che potremmo chiamare “ducefilia”, o Apologia del fascismo, come dimostrarono all’epoca le diverse migliaia di persone che si ritrovarono alla tomba di Mussolini a Predappio per l’anniversario della marcia su Roma. Succede tutti gli anni. E sono ancor peggio le aggressioni fasciste che accadono di continuo anche se i media ne parlano solo quando “fa notizia”.

Nel frattempo, proprio a proposito di apologia di fascismo, nelle scorse settimane dalla Grecia è arrivata una notizia interessante. Alba Dorata, il partito di estrema destra greco a cui Casapound strizza l’occhio da sempre e simpatizza fraternamente, è stato dichiarato fuorilegge.

Cosa fa davvero notizia?

Più viaggiamo nel tempo con questa rassegna che abbiamo chiamato Fixing News, più viene da chiedersi che cosa sia che fa notizia e cosa, invece, potrebbe essere tranquillamente dimenticato.

Qualcuno potrebbe rispondere che, nel dubbio, il giornalismo deve riportare fedelmente tutto quello che accade. Ma già mentre si afferma qualcosa del genere dovrebbe diventare evidente da un lato che non è possibile. E dall’altro che una delle cose che dà valore al giornalismo è la capacità di fare delle scelte.

Ci sono due frasi bellissime fra i tanti aforismi sul giornalismo.

La prima è attribuita ad Alfred Harmsworth (Lord Northcliffe) e suona così (nella foto, scattata al Newseum di Washington D.C. nel 2019, manca il pezzo finale): «Le notizie sono cose che qualcuno, da qualche parte, vuole sopprimere. Tutto il resto è pubblicità».

La seconda è di Philip Graham, editore del Washington Post. E dice che il giornalismo è la prima bozza della storia. Niente di meno.

Se pensiamo che queste due frasi siano corrette — e qui lo pensiamo, anche se come tutti gli aforismo contengono semplificazioni – e se le mettiamo insieme, abbiamo una descrizione, per quanto sommaria, molto efficace di quel che dovrebbe fare il giornalismo: non le pubbliche relazioni, non la pubblicità.

Dovrebbe parlare di questioni importanti da conoscere per rendere cittadine e cittadini in grado di prendere decisioni consapevoli. Questioni che faranno parte della nostra storia fin dal modo in cui vengono raccontate.

Lettrici e lettori possono pretendere questo, dal buon giornalismo.
Cosa fa davvero notizia? E come dobbiamo leggere e affrontare il flusso senza fine delle news? Cosa resta di tutto quel che viene raccontato, prodotto, scritto, detto ogni giorno? Quanta di quella roba è sovrapproduzione e inquina e quanta, invece, genera valore che durerà nel tempo?

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