In piena crisi

Un anno fa le “6000 Sardine” erano sulla bocca di tutti, spiegando involontariamente qual è il funzionamento del meccanismo legato “all’Hype”.

26 Novembre 2020 20:52

Questa è la nona puntata di Fixing News, un progetto di Blogo in collaborazione con Slow News. Esce una volta a settimana e se vuoi saperne di più puoi cliccare qui per leggere il “manifesto”. Se invece vuoi ascoltare questo articolo in formato Podcast, lo trovi subito qui sotto, (ed anche su Spreaker, Spotify e sulle altre piattaforme). Se hai suggerimenti, idee, richieste per le prossime puntate, scrivici a fixingnews@blogo.it.

La settimana tra il 18 e il 25 novembre del 2019 fu, a livello di notizie, una di quelle settimane riccamente assortite, di quelle ritmate dalle buone notizie e dalle notizie meno buone.

Fu una settimana di propositi politici, come quello ancora poco giudicabile di Calenda che fondò il suo partito Azione (eh già è passato un anno, sembra di più, vero?) o come quella un po’ impacciata e che, vista ora, fa sorridere di Bloomberg che dichiarò di entrare nella corsa delle presidenziali americane per sconfiggere Trump coi soldi. Il tentativo di metterci la faccia da parte del miliardario americano finì malissimo, quello di metterci i soldi andò un po’ meglio. Da Hong Kong, intanto, arrivò una buona notizia, seppur soltanto simbolica: alle elezioni locali di Hong Kong vinsero i candidati pro-democrazia.

Ma fu anche una settimana drammatica di incidenti, lutti e violenza in giro per il mondo, come – tocca dirlo – quasi sempre, purtroppo. In Cile, dove le proteste non erano ancora finite, i militari smisero di sparare proiettili di gomma, ma due donne, un’attivista fotografa e una mimo, vennero trovate morte. Si chiamavano Daniela Carrasco e Albertina Martínez Burgos, e su come sia accaduto e sul perché ne parlammo per giorni, quasi sempre a sproposito. Anche in Colombia esplose una rivolta contro il governo e tre agenti di polizia a Santander de Quilichao vennero uccisi da una bomba piazzata vicino ad una caserma.

Nel mentre, in Italia, il maltempo continuava a fare le sue scorribande devastanti, sempre in Liguria, dove vicino a Savona crolla un viadotto: tutti pensarono subito con orrore al ponte di Genova, ancora troppo pochi, invece, che quella, come le altre, non era più un episodio meteorologico né una “semplice” emergenza climatica, ma una vera e propria crisi, costante e talmente ricorsiva da essere ormai prevedibile. Intanto, mentre a Lampedusa naufragava l’ennesimo barcone e morivano ancora delle donne e degli uomini in fuga, a Taranto, ci si preparava per lo sbarco di altre persone messe in salvo dalla Open Arms.

Tra le polemiche che ci occuparono l’attenzione e assorbirono il nostro tempo perduto sui social, quella settimana fu altrettanto ricca. Segnaliamo qui quella su Marione, il “fumettista” che firmò una campagna di educazione civica per il Comune di Roma, ma che fuori dall’orario di lavoro per il comune venne accusato di omofobia e di razzismo. O ancora, del fatto che si parlò molto della casa dell’ex ministra Elisabetta Trenta, ma anche delle dichiarazioni del sindaco di Biella, che prima rifiutò di conferire la cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre, poi la offrì a Ezio Greggio (sic), il quale rifiutò in solidarietà a Segre che alla fine ricevette le scuse del sindaco. Alè.

Di Maio in peggio

Praticamente per tutte le testate giornalistiche, Di Maio era in piena crisi. Solo, abbandonato, in rotta con il MoVimento Cinque Stelle (o il MoVimento in rotta con lui) e via dicendo. Un anno dopo non è cambiato quasi nulla: sulla sua pagina Facebook il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale scrive che quelle che circolano sul suo conto sono fake news. Per la precisione, si parla del fatto che Di Maio starebbe facendo la conta per capire se guidare una scissione del MoVimento.

Il bello (o il brutto?) di queste notizie che prendono il nome di retroscenismo (sarebbe meglio dire gossip politico?) è che, gira e rigira, non sai mai orientarti.

Chi ne scrive avrà le sue fonti. Ma quali saranno gli intenti delle fonti? Tastare il terreno? Fare gli interessi del politico di turno? Quelli del suo avversario? Nessuno sa dirlo, e infatti sono news che durano il tempo di un sospiro. Quello che dovremmo fare tutte le volte che pensiamo a quanto tempo ci porta via interessarci di argomenti che non cambiano minimamente la sostanza delle cose. E a distanza di un anno, quanto siano irrilevanti queste “notizie” è proprio palese.

6000 Sardine

A pensarci in questi tempi di lockdown e di distanziamento sociale, il movimento delle Sardine sembra lontano anni luce e un po’ forse ci fa anche nostalgia. Bene, esattamente un anno fa era proprio la loro settimana, quella che mediaticamente potremmo definire dell’“hype”: il botto mediatico.

Il movimento fondato da un gruppo di ragazzi e capeggiato da Mattia Santori nacque in piazza a Bologna la settimana precedente (su Fixing News li avevamo citati settimana scorsa) e, nonostante il fatto che il loro fondatore lo definiva “più un anticorpo che un movimento”, non era qualcosa di molto più nuovo rispetto ai girotondi o al popolo viola. A proposito, quelli te li ricordi? Da quei tempi sembra veramente passato un millennio.

Nonostante fosse qualcosa di non particolarmente originale, le Sardine (o meglio, le 6000 Sardine, come recita il nome originale) entrarono massicciamente nel dibattito pubblico grazie a una serie di flash mob che riuscirono a convogliare la voglia di reagire alla insistente comunicazione di Salvini.

In quei primi giorni venne pubblicato anche un manifesto e diverse volte il loro leader Mattia Santori comparve in televisione. Bisogna dirlo, l’ingresso nel dibattito fu abbastanza trionfale. La chiamata in piazza sembrò funzionare, almeno per un po’. Ma se all’inizio l’accoglienza da parte dell’opinione pubblica fu forte e unanime, la vicenda sia politica che umana delle Sardine (e del suo fondatore) prese a un certo punto una piega che provocò un vespaio di polemiche e di accuse, persino di fanatismo, e raffreddò gli animi di molti. Cose che capitano quando si cavalca l’onda di un hype.

E ora? Che fine hanno fatto Santori e compagnia? Dall’ultimo articolo pubblicato sul loro blog si evince che stiano cercando di continuare a riempire uno spazio e a tenersi attaccata una comunità di persone. Ma i numeri altissimi che facevano un anno fa sui social non li raggiungono più. Ora viaggiano su poche centinaia di like e su qualche decina di commenti. Sic transit gloria mundi?

Il ciclo dell’hype

Che, se preferisci, si chiama anche ciclo dell’esagerazione.

Ha anche un suo grafico, che è stato elaborato da una società di consulenza e che riguarda, in particolare, l’hype, l’eccitazione, l’esagerazione per l’attesa di una nuova tecnologia.
Pensaci: sono almeno trent’anni che la realtà virtuale dovrebbe cambiare tutto.
Poi c’è stato l’hype per i big data.
Quello per l’intelligenza artificiale. E chissà per cos’altro ci sarà.
Quando partono i primi prototipi, inizia l’interesse dei media in positivo. Poco dopo inizia quello in negativo. E poi si va, a seconda del tipo di tecnologia, verso una stabilizzazione o verso nuovi cicli di hype nel tempo.

Se questa curva riguarda in particolare l’evoluzione della tecnologia, in realtà il ragionamento lo puoi applicare per qualsiasi cosa di cui si parli tanto (cambiando un po’ la parte finale, che a volte va a scendere fino a toccare lo zero).
Funziona così:

  • qualcuno fa qualcosa
  • ci sono nicchie che si interessano a quel qualcosa
  • succede qualcosa di più eclatante che parte da quelle nicchie e che, per qualche ragione, attira l’interesse dei media (e dunque delle persone). Di solito, nel 2020, è qualcosa che triggera, fa parlare di sé anche sui social
  • l’interesse di solito è esagerato e si parla di quel fenomeno come di qualcosa di mai visto prima oppure che cambierà radicalmente le cose, oppure che farà la storia o tutte queste cose insieme, con qualche altra iperbole enfatica
  • partono: pareri, opinioni, critiche, polemiche, e nel giro di tre o quattro giorni si esauriscono tutte le opinioni sul tema

A quel punto si passa ad altro e l’argomento, il nuovo trend, può subire destini diversi.
A volte il meccanismo può durare un po’ di più e rimanere in agenda per qualche mese

Pensa alle sardine e guarda, per esempio, l’evoluzione per l’interesse del termine secondo Google Trends.

È un ciclo dell’hype con chiusura al ribasso.

Ora pensa a tutto quel parlare, a tutti quegli articoli, a tutte quelle ospitate televisive e a quanto valgono oggi. Certo, qui si pone una questione cruciale: come fare a stabilire se un argomento durerà nel tempo oppure no?
Ci vuole sensibilità, competenza, comprensione della realtà. E si può dedicare la giusta copertura, senza esagerare, anche all’effimero, anche a ciò che non sappiamo bene cosa sarà.

Ma tu, ora che lo sai, probabilmente potrai difenderti dall’hype.

Ma Epstein?

Il 19 novembre del 2019, le guardie carcerarie che erano di turno durante il suicidio di Jeffrey Epstein vennero accusate di aver falsificato i rapporti sull’accaduto. Perché lo citiamo in fondo a questa rassegna? Perché il caso Epstein, fino al gennaio del 2020 sembrava dover diventare il caso dell’anno, se non del decennio o del secolo, ma poi puff, sparito, scomparso, dimenticato. Niente paura, nessun complotto, è solo il risultato di un sistema dell’informazione malato di istantismo, che quando è esploso il coronavirus ci ha letteralmente sepolto tutto il resto sotto.

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