La virologa Capua: “Studiare se inflessioni dialettali possono favorire diffusione del virus”

La virologa Ilaria Capua, sul Corriere della Sera, parla di fattore K e super spreader: “Come potenziali diffusori del virus non siamo tutti uguali”

27 Dicembre 2020 20:37

Si chiama fattore K e indica il grado di dispersione virale. A parlarne è la virologa Ilaria Capua, sul Corriere della Sera. Secondo l’esperta andrebbe studiato se per esempio alcune forme della lingua verbale, come determinate inflessioni dialettali, possono favorire la diffusione del Covid-19.

Ma capiamo bene cos’è questo fattore k. La dottoressa Capua spiega che “come amplificatori del fenomeno pandemico non siamo tutti uguali. Alcuni di noi, a causa della convergenza di più fattori, riescono a sviluppare proprio l’effetto elicottero con qualcosa che è più impalpabile della farina. Una nuvola infinita che si allarga grazie al movimento delle pale, che più si muovono e più la nuvola si espande. Si chiamano i super-spreader: individui spesso asintomatici (almeno durante l’evento del contagio) che sono avvolti da una nuvola di virus a concentrazioni altissime che con l’aiuto di alcuni accorgimenti può essere trasformata anche in migliaia di contagi”.

Secondo la Capua sarebbe utile indagare “se una lingua foneticamente caratterizzata da maggiore pressione e frizione possa essere più pericolosa come veicolo di infezione virale. Basti pensare a come siano diverse dal punto di vista meccanico alcune inflessioni o dialetti nel solo nostro territorio nazionale (calabrese aspirato o toscano con la c espirata)”.

Ma la scienziata è incuriosita anche da un altro aspetto e cioè “se alcuni difetti di pronuncia — come il sigmatismo, meglio noto come zeppola — forse possano creare un volume di goccioline maggiore a quello che emetterebbe chi non l’ha o ha l’erre moscia. Insomma la K della pandemia del 2020 ci ricorda che ognuno di noi è individuo, unico, irripetibile e speciale. Pur sempre parte di una comunità, però”.

Di certo sappiamo – prosegue la virologa – che “il contagio è anche la risultante della quantità di goccioline che vengono emesse dal nostro “muso” e per questo, e nel segno dell’interdisciplinarietà, credo che si potrebbe anche chiedersi se c’è dell’altro visto che noi, a differenza degli altri animali, parliamo”.

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