Sull’efficacia degli anticorpi monoclonali la comunità scientifica è divisa

L’autorizzazione alla distribuzione degli anticorpi monoclonali ha creato dibattito tra medici e ricercatori. In attesa di nuovi dati, ecco le posizioni.

pubblicato 11 Febbraio 2021 aggiornato 12 Febbraio 2021 14:27

Il 6 febbraio il ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato di avere firmato il decreto che autorizza la temporanea distribuzione di alcuni anticorpi monoclonali. Il testo del decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’8 febbraio. Incaricato della distribuzione è il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 Domenico Arcuri.

Sulla base delle indicazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco e del parere del Consiglio Superiore di Sanità ho appena…

Posted by Roberto Speranza on Saturday, February 6, 2021

La firma del provvedimento è intervenuta in seguito all’adozione del parere da parte della Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA, l’Agenzia Nazionale del Farmaco, nel quale si legge che

«la CTS, pur considerando l’immaturità dei dati e la conseguente incertezza rispetto all’entità del beneficio offerto da tali farmaci, ritiene, a maggioranza, che in via straordinaria e in considerazione della situazione di emergenza, possa essere opportuno offrire comunque un’opzione terapeutica ai soggetti non ospedalizzati che, pur avendo una malattia lieve/moderata risultano ad alto rischio di sviluppare una forma grave di COVID-19 con conseguente aumento delle probabilità di ospedalizzazione e/o morte. Si tratta, in particolare, di un setting a rischio per il quale attualmente non è disponibile alcun trattamento standard di provata efficacia».

ANTICORPI MONOCLONALI: COSA SONO E QUALI SONO STATI AUTORIZZATI

Gli anticorpi monoclonali hanno numerose applicazioni mediche e rientrano tra i farmaci più diffusi al mondo. La scienza si sta ora concentrando sull’utilizzo degli anticorpi monoclonali per combattere il COVID-19. Si tratta di proteine create in laboratorio che imitano la capacità del sistema immunitario di combattere agenti patogeni come i virus.

«Tra i prodotti in studio – si legge sul sito dell’AIFA – gli anticorpi monoclonali prodotti da Eli Lilly e Regeneron (per i quali la FDA – cioè l’autorità regolatoria indipendente americana, ndrha rilasciato un’autorizzazione per l’uso in emergenza) sono quelli attualmente più progrediti nello sviluppo clinico». Gli anticorpi monoclonali di cui si discute sono dunque per ora solo la combinazione Bamlanivimab ed Etesevimab della casa farmaceutica Ely Lilly e Regen-Cov del colosso Regeneron/Roche. I dati pubblicati avrebbero dimostrato assenza di beneficio nei pazienti ospedalizzati in fase avanzata della malattia, mostrando invece come l’utilizzo in una fase più precoce (cioè entro 72 ore dal tampone positivo e non oltre sette giorni dalla comparsa dei sintomi) sarebbe associato a una riduzione della carica virale e, in conseguenza, del numero di ospedalizzazioni, visite e accessi in pronto soccorso.

Non tutta la popolazione potrà sottoporsi a questa terapia. La Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA ha infatti precisato che gli anticorpi monoclonali potranno essere utilizzati unicamente per soggetti di età superiore 12 anni, positivi per SARS-CoV-2, non ospedalizzati per COVID-19, non in ossigenoterapia per COVID-19, con sintomi di grado lieve-moderato di recente insorgenza (non oltre 10 giorni) e con compresenza di almeno uno dei fattori di rischio elencati in questa tabella:

Per quanto riguarda invece gli aspetti organizzativi e le modalità di trattamento, si tratta di una «infusione endovenosa» da effettuare in 60 minuti, cui seguono altri 60 minuti di osservazione, e in strutture che consentano una «pronta e appropriata gestione di eventuali reazioni avverse gravi». Le modalità di prescrizione e la definizione degli aspetti organizzativi «potrà essere lasciata alle singole Regioni». Non è ancora chiaro però cosa si intenda.

Nell’art. 1, comma 447, della legge di Bilancio 2021 era stato istituito un fondo da 400 milioni di euro destinato all’acquisto di vaccini e farmaci anti Covid-19. Come riportato da Facta News, se il fondo da 400milioni venisse usato per acquistare gli anticorpi monoclonali si tratterebbe di un totale di 320mila dosi (320mila per 1250 euro, il costo a dose). Una cifra che corrisponde a 26 milioni di dosi di vaccino Pfizer.

In fase di sperimentazione è anche il farmaco anti Covid sviluppato dal team coordinato dal professore Rino Rappuoli della Fondazione Toscana Life Sciences di Siena. Fabrizio Landi, presidente di Fondazione Toscana Life Sciences, ha dichiarato al Tg3 che la fase di ricerca è stata finanziata con risorse provenienti in parte dalla regione Toscana e in parte da un crowdfunding in cui «53mila acquirenti, che sono andati a fare la spesa in una Coop, hanno donato da 1 a dieci euro e raccolto in totale 1 milione e 600mila euro».

Ulteriori finanziamenti giungeranno poi da Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo di proprietà del ministero dell’Economia avente come amministratore delegato il commissario Domenico Arcuri. Come riportato da IlSole24ORE, Invitalia investirà 15 milioni di euro per acquisire il 30% del capitale di Tls Sviluppo Srl, braccio operativo della fondazione no-profit senese Toscana Life Sciences.

Grazie a questa operazione, che coinvolge anche la Regione Toscana, il commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, si assicura a prezzi scontati il futuro farmaco su cui sono puntati gli occhi della comunità scientifica: 200mila dosi nel 2021, un numero di dosi ancora da definire nel 2022 e il diritto d’opzione per le forniture negli anni successivi. Impegni e investimenti sono contenuti nell’accordo di programma che sarà firmato la prossima settimana (questa settimana, ndr) da ministero dello Sviluppo economico, Regione Toscana, Tls Sviluppo e Invitalia, con durata fino a dicembre 2025.

LE REAZIONI DELLA COMUNITÀ SCIENTIFICA

La firma del decreto da parte del ministro Speranza ha generato ampio dibattito all’interno della comunità scientifica. I punti maggiormente divisivi sono due: i dati e i fondi stanziati.

Posizioni contrarie

Roberta Villa, medico e giornalista, ha raccontato su Instagram perplessità e rischi connessi agli anticorpi monoclonali. Secondo la divulgatrice scientifica, parlare di anticorpi monoclonali come di “farmaci salvavita” sarebbe una fake news. Gli studi pubblicati si sono infatti concentrati su due aspetti: la variazione della carica virale in un dato periodo di tempo; il ricorso al medico nei giorni successivi all’insorgenza dei sintomi, dunque gli accessi al pronto soccorso e i ricoveri per COVID-19.

«Solo l’1.6% dei pazienti che hanno ricevuto l’anticorpo sono finiti in ospedale, contro il 6.3% di chi aveva ricevuto il placebo. Un vantaggio molto significativo, se non fosse che i numeri non solo tali da permettere un’indagine statistica. Le percentuali corrispondono a cinque pazienti trattati con anticorpi vs nove nel gruppo placebo. E questo è l’unico vantaggio clinico di cui si hanno i dati pubblicati»

Allo scetticismo sui pochi benefici segue l’analisi delle difficoltà e dei rischi connessi.

«Questi farmaci sono autorizzati per uso in emergenza non nei pazienti gravi, ma solo nei pazienti con fattori rischio e forme leggero-moderate nei primissimi giorni di comparsa della malattia. Ogni giorno ci possono essere però migliaia di persone che rispondo a queste caratteristiche; a queste migliaia di persone dovremmo dunque somministrare questi farmaci, nel dubbio che la forma lieve si possa aggravare. Si tratta di farmaci da somministrare con flebo, in un ambiente ospedaliero o equivalente e dove si possa intervenire in caso di emergenza. Se lo scopo è alleggerire gli ospedali con meno accessi al PS, in realtà questo significa nel contempo farne accedere migliaia al trattamento».

La riflessione si basa anche sull’«enorme spreco di denaro» e sul «metodo».

[…] Come è possibile che parta la narrazione del farmaco salvavita quando non c’è alcuno studio che valuti la mortalità? Perché i colleghi favoriscono questa narrazione senza verificarla?

Contrario è anche il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta, che ha pubblicato il 9 febbraio un tweet in cui riassume la sua posizione:

Cartabellotta riprende una lettera al direttore di QuotidianoSanità inviata dall’Associazione Alessandro Liberati, parte di Cochrane, network internazionale che si occupa di raccogliere e sintetizzare le evidenze scientifiche sugli effetti degli interventi sanitari. La critica si basa su tre punti: l’efficacia incerta del trattamento, l‘assenza di dati riguardanti l’impatto sulla mortalità e la gestione complessa di chi accede al trattamento.

«Casi aneddotici riportati dai media, come quello di Donald Trump, aumentano interesse e speranze legate a terapie come queste, nonostante i costi molto elevati, le difficoltà di produzione e di gestione dei trattamenti che richiedono strutture dedicate, tempestività di azione e che dovrebbero essere accessibili a tutti coloro che eventualmente ne potrebbero beneficiare. […] e i dati attualmente disponibili non sono, obiettivamente, granché favorevoli […].

Sorprende come questi prodotti, che si spererebbe di utilizzare in modo estensivo nella pratica clinica su una malattia purtroppo ad ampia diffusione, siano attualmente stati studiati solo su poche centinaia di pazienti, anche considerando che (secondo i rumors mediatici) la Eli Lilly avrebbe proposto di regalare all’Italia 10.000 dosi di bamlanivimab da utilizzare in una sperimentazione. C’è da sperare che ulteriori ricerche possano definire meglio e in senso più favorevole il profilo di efficacia e di sicurezza di questi farmaci, indicando anche se possano avere un impatto sulla mortalità […]».

La notizia di una fornitura gratuita di dosi da parte di Eli Lilly è stata smentita da AIFA il 22 dicembre. Non è chiaro però se quanto scritto dall’Associazione Alessandro Liberati si riferisca a quella vicenda o a un altro caso.

Le posizioni contenute nella lettera sono state citate anche da Enrico Bucci, giornalista di Il Foglio. Nell’articolo Sugli anticorpi monoclonali si posi la clava e si torni agli studi, Bucci evidenzia da un lato la necessità da di procedere con studi clinici che coinvolgano un numero più ampio di pazienti, dall’altro sottolinea la forte divisone che l’autorizzazione ha causato all’interno della comunità scientifica. Si parla di una «campagna mediatica

in cui incredibilmente dei farmaci potenzialmente utili sono stati trasformati in una bandiera divisiva non solo tra gli scienziati – con dati ancora così preliminari è naturale che possa accadere  – ma soprattutto per masse di articolisti e semplici commentatori che, inseguendo le dichiarazioni fortemente divisive fatte in tv, si scatenano in dispute a confronto delle quali il tifo calcistico rischia di impallidire […]».

In un’intervista a Euronews il professore di Microbiologia Giorgio Gilestro ha spiegato che «il problema degli anticorpi monoclonali è che non funzionano». I dati a disposizione sarebbero infatti quelli delle sperimentazioni in fase 2, senza dati definitivi in merito alla fase 3.

Ebbene, cosa ci dicono questi numeri? Ci dicono che c’è una piccola differenza – si parla di una riduzione del rischio che va dal 5 al 10 per cento – ma statisticamente non significativa, indistinguibile dal caso. Con risultati così, normalmente ci si troverebbe a tavolino e si metterebbe addirittura in discussione l’eventualità di continuare la sperimentazione verso la fase tre. […] Non è detto che magari dalla combinazione di altri monoclonali, o di altri dosaggi, qualcosa non venga fuori. Ma, al momento, con questi anticorpi e questi dosaggi, i risultati sono cristallini, e non c’è effetto. Quindi spendere così tanti soldi su qualcosa che non ha effetto prima di tutto è un problema etico.

Lo scetticismo sull’autorizzazione prevista dal decreto firmato dal ministro Speranza è sostenuta anche da Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Azienda ospedaliera di Padova e docente di Microbiologia. In un intervento a Cartabianca su Rai 3 il virologo ha spiegato che sulla base di risultati ora disponibili i monoclonali non funzionerebbero nei casi avanzati della malattia, potendo anzi generare un effetto controproducente. Il riferimento di Crisanti è alla sospensione nell’ottobre 2020 del trial condotto da Eli Lilly.

«Qui abbiamo pochissimi dati. Il trial di Regeneron e di Eli Lilly hanno pochissimi casi, quindi il potere statistico di questi studi è bassissimo […] E se l’obiettivo è quello di vaccinare i settantenni, gli ottantenni e i novantenni, i monoclonali a cosa servono? […]».

Posizioni a favore

Il 4 febbraio il presidente di Aifa Giorgio Palù ha dichiarato all’agenzia Adnkronos che il numero di vittime registrati ogni giorni in Italia è stato uno dei motivi che hanno portato a incentivare l’autorizzazione alla distribuzione degli anticorpi monoclonali. Palù parla di «dati inoppugnabili», spiegando che «quello che emerge dai lavori pubblicati su riviste importantissime è il fatto che sono un’arma potente se somministrata nelle prime fasi d’infezione, ai primi sintomi, prima che l’infezione progredisca». Il presidente dell’AIFA ha parlato della necessità di un «sistema efficiente diffuso» al fine di permettere la somministrazione domiciliare degli anticorpi monoclonali, coinvolgendo anche gli ambulatori territoriali. Un punto che, come spiegato poco sopra, è ampiamente contestato.

Guido Silvestri, professore Ordinario di Virologia all’Emory University di Atlanta, da mesi pubblica sulla sua pagina Facebook post in cui spiega perché la terapia a base di anticorpi monoclonali sarebbe efficace. In un post del 5 febbraio, Silvestri ha riportato un elenco di dieci punti scientifici alla base della scelta di utilizzare gli anticorpi monoclonali in via sperimentale e/o compassionevole nei soggetti ad alto rischio:

  1. presenza di un chiaro e definito meccanismo d’azione contro il virus;
  2. importanza degli enti che hanno investito nella ricerca, tra cui il National Institute of Health e alcune tra le migliori università del mondo;
  3. l’elevato numero di anticorpi monoclonali in fase di studio;
  4. la pubblicazione di paper scientifici in cui si osservano «risultati estremamente positivi in termini di protezione da infezione e/o sviluppo di malattia grave su diversi modelli animali»;
  5. la presenza di attività anticorpale neutralizzante contro SARS-CoV-2;
  6. risultati «sicuramente promettenti» negli studi iniziali di LY-CoV555 e REGN-CoV2, gli anticorpi monoclonali autorizzati in Italia;
  7. «eccellente» profilo in termini di sicurezza;
  8. assenza di alternative efficaci;
  9. autorizzazione per uso in emergenza da parte di FDA ed Health Canada, le autorità regolatorie indipendenti di Stati Uniti e Canada;
  10. la valutazione degli anticorpi monoclonali come “opzione valida” per i soggetti ad alto rischio nella fase iniziale di COVID-19 da parte del Centro di Controllo e Prevenzione delle Malattie americano (CDC).

Tra gli esperti di anticorpi monoclonali c’è Roberto Burioni, medico, professore di Virologia all’Università San Raffaele di Milano e direttore scientifico del portale Medical Facts. In un tweet pubblicato il 26 gennaio, il virologo ha sottolineato la necessità di procedere con velocità in seguito alle notizie sugli effetti prodotti dal cocktail di anticorpi di Eli-Lilly:

Il 9 febbraio Burioni ha poi ripreso il tweet del direttore di Gimbe Nino Cartabellotta.

Giovedì 11 febbraio il virologo ha pubblicato questo tweet:

Invita invece alla calma Salvo di Grazia, medico specialista in ostetricia e ginecologia e fondatore di MedBunker. «C’è quasi un’incomprensibile crociata a favore di questi farmaci e ancora più incomprensibile l’aggressione violenta da una parte e dall’altra: chi ne parla positivamente è insultato e aggredito e chi mette in dubbio (non nega, mette in dubbio) l’utilità di questi farmaci lo stesso. Tifo da stadio? Non va bene», scrive in un lungo articolo del 5 febbraio. Di Grazia pone una serie di domande e invita alla riflessione, all’analisi e all’approfondimento prima di decidere.

Quindi per ora l’unica cosa che sembra ragionevole da fare è l’invito a chi promuove questi farmaci con tanto entusiasmo (che sarebbe giustificato in caso di efficacia altissima), a mantenersi, nei toni e nei termini, nei limiti della scienza, di spiegare bene di cosa parliamo, di non diffondere false speranze e illusioni.

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