Emergenze dimenticate

Di cosa parlavamo fra il 23 e il 30 settembre dell’anno scorso? E perché ci interessa? Ecco il primo appuntamento con Fixing News

1 Ottobre 2020 16:43

Questa è la prima puntata di Fixing News, un progetto di Blogo in collaborazione con Slow News. Uscirà una volta a settimana e se vuoi saperne di più puoi cliccare qui per leggere il “manifesto”. Se hai suggerimenti, idee, richieste per le prossime puntate, scrivici a fixingnews@blogo.it.

Nel mondo dell’oggi e ora, del tutto e subito, delle notizie dell’ultimo minuto e delle polemiche fresche di giornata che, peggio dei pesci e degli ospiti, dopo nemmeno due giorni iniziano a puzzare, come si fa a iniziare un articolo che parla di cose successe addirittura un anno fa? L’unico modo è cominciare come iniziano le favole. Perché, come nelle favole, dopo un anno di catena di montaggio infinita di news, fattoidi, risse sui social, polemiche sul niente e altre inutilità che predano la nostra attenzione, i contorni delle cose risultano sfumati e confusi e quello che ci è rimasto in testa ce lo ricordiamo come ci ricordiamo i sogni.

E allora, C’era una volta.

C’era una volta la fine di settembre del 2019. Dopo un’estate torrida, la più torrida degli ultimi 140 anni – anche se record come questi li batteremo durante ognuna delle prossime estati che ci aspettano, scommettiamo? — cominciava l’autunno e si preannunciava un Autunno caldo.

Chi vive sperando…

Se ripensiamo a quei giorni, quello che ci è rimasto a distanza di un anno è il ricordo di un estate di speranza. Giusto un mese prima, il 20 agosto, compiva un anno lo sciopero della scuola di Greta Thunberg, che quella settimana – il 23 settembre 2019, per l’esattezza — tenne uno storico discorso (qui se vuoi lo puoi rivedere intero in video, durò 5 minuti circa, e qui puoi leggere la trascrizione) al Climate Action Summit a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Storico? Sì, così ci sembrava. Ma a un anno di distanza, se siamo sinceri con noi stessi, dovremmo ammettere che solo in pochi ancora se lo ricordano. E intanto, in questo inizio di autunno 2020, a scuola i ragazzini ci sono tornati da pochi giorni, dopo mesi di chiusura forzata. E le manifestazioni di piazza – che ora quasi dovunque sono limitate dalle restrizioni dovute al COVID – ormai le fanno i negazionisti no mask. Se ce l’avessero detto un anno fa non ci avremmo mai creduto, forse ci saremmo messi a ridere.

Quell’estate era stata in gran parte dominata mediaticamente dalle interminabili schiere di ragazzini che, a centinaia di migliaia, avevano seguito l’esempio di Greta e avevano trasformato il venerdì da ultimo giorno di scuola della settimana a giornata permanente di mobilitazione per il clima. Il 27 settembre 2019, un venerdì, appunto, in Italia un milione di ragazzi scese in strada per la più grande giornata di proteste del Friday for Future. “Ma adesso ascoltateci”, titolò La Stampa. Non l’abbiamo fatto. Anzi, a proposito di cose assurde e inutili, c’è stata anche la polemica contro Greta, accompagnata da un’inspiegabile violenza verbale contro questa ragazza: chi c’è dietro, si chiedeva qualcuno avanzando improbabili teorie del complotto? Dietro, com’è ormai evidente, non c’era proprio nessuno, a parte l’emergenza stessa. E questo pezzo di Jonathan Franzen è ancora attuale.

Fra l’altro, ci siamo anche accorti – o almeno, dovremmo – del fatto che ragionare a compartimenti stagni non serve proprio a niente, proprio come non servono a niente le polemiche del momento. Se è vero che l’emergenza Covid-19 ha accelerato molti dei problemi del “mondo vecchio”, affrontare la crisi climatica è un tema cruciale per costruire il mondo nuovo. Su questo tema, durante il lockdown Alberto Puliafito ha intervistato la climatologa Serena Giacomin. Vale la pena di ascoltarla.

Riguardando le prime pagine di quell’ultima settimana di settembre, fa impressione vedere con quanta facilità abbiamo dimenticato quell’energia, quella speranza, ma soprattutto quell’’emergenza: il conto alla rovescia del Climate Change. Un’urgenza ormai sepolta, letteralmente spazzata via da quella del Covid-19.

Insieme alle manifestazioni planetarie del Friday for Future troviamo anche le polemiche che ne erano seguite, tra chi scommetteva che Greta avrebbe preso il Nobel per la Pace e chi accusava i manifestanti per il clima di essere degli ipocriti ragazzini viziati che lasciavano le strade sporche dopo le loro manifestazioni. Solo che non era esattamente “vero”. Nacque persino una parola: Gretini, usata il 27 settembre persino da Gramellini — vero marchio di garanzia quando si tratta di parlare di futilità. Come tutte le rubriche quotidiane in cui devi per forza dire qualcosa di brillante ogni giorno sul tema del momento: è una condanna.

Seguì un fiume di polemiche che viste oggi, forse, fanno tenerezza, visto che nel frattempo, nonostante il lockdown abbia fermato il mondo per alcuni mesi, il cambiamento climatico non si è affatto fermato. Anzi.

La polemichetta di cui parlano tutti con saccenza

A proposito delle polemiche inspiegabili, c’è una cosa molto importante da dire, che vale per tutto il progetto Fixing News. Primo: non tutte le persone stanno parlando di quel che a te sembra che sia l’argomento di cui parlano tutti. Se non ti fidi, prova a leggere questa bellissima poesia che si intitola Le persone con cui lavoro non parlano di Trump. Fra l’altro fa così (la traduzione è nostra):

«Darius vive in una roulotte con suo padre
perché suo padre ha la cirrosi e l’enfisema.
Suo padre beve ancora
e più d’una volta si è ubriacato con l’antigelo».

Non è difficile mettersi nei panni di Darius e capire perché non gli interessa parlare di Trump.

Secondo: ci sono grosse responsabilità nelle ‘istituzioni’ – incluso il giornalismo – che hanno dilapidato il loro capitale di fiducia; che hanno abusato del loro potere di raggiungere pubblici diversi con la loro visibilità; che hanno in qualche modo hackerato il concetto stesso di libertà di parola e di pensiero, inondando, senza pensarci troppo, l’ecosistema digitale di qualsiasi tipo di contenuto; che non hanno investito sull’istruzione; che non hanno spinto per politiche inclusive concrete, che dessero alle persone la certezza di avere possibilità di vivere una vita pienamente soddisfacente (almeno di poterci provare); che spesso hanno diffuso scientemente dati e notizie false; che hanno buttato benzina sul fuoco.

Visto che la situazione è questa, è normale che ci si aggreghi intorno a questa o quella tifoseria.
Perché non si dovrebbe? Lo fanno per prime le persone che hanno ancora pulpiti da cui predicare.
In realtà ciascuno vive nella sua bolla. E dentro quella bolla a ognuno sembra di aver sempre ragione e che tutti gli altri abbiano torto. Così si perde il senso di quel che, invece, non è un’opinione ma un’evidenza.

La partita (infinita) dell’IVA

Quella settimana a tenere banco non c’erano soltanto Greta e il clima.
Tra i titoloni delle prime pagine di quei giorni troviamo le schermaglie politiche sulla manovra economica: si parlava un sacco dell’aumento dell’IVA e delle misure di salvaguardia. Si parlava di circa 29 miliardi. Di fronte alle mosse straordinarie post-covid-19 del recovery fund (si parla di circa 20 volte quella cifra) viene da sorridere, non è vero?
All’epoca c’era Renzi che aveva fondato Italia Viva appena qualche giorno prima e che cercava di sfruttare l’harakiri politico di Salvini — che, per inciso, era Ministro dell’Interno fino a 20 giorni prima. Conte proponeva un sistema di cashback per chi usava il bancomat per combattere l’evasione e che proprio in questi giorni sta tornando in agenda. E naturalmente generando polemiche, che ogni tanto ritornano.

Il turismo ucciso da… internet (sic)

In quei giorni si parlava di turismo, con il fallimento clamoroso dell’agenzia Thomas Cook, avvenuto anch’esso il 23 settembre, che lasciò migliaia di turisti bloccati in giro per il mondo. Anche su questo, ora vien da fare un sorriso amaro visto lo stato del turismo post-covid e visto che all’epoca davamo la colpa a “internet”, ma per qualche ora era stato sulla bocca di tutti. Nel frattempo, un semestre di coronavirus ha messo in ginocchio l’idea stessa del viaggiare, mettendo in seria difficoltà persino quello che 12 mesi fa sembrava il principale indiziato per la morte della storica agenzia di viaggi britannica: Airbnb, il cui CEO Brian Chesky prevedeva per il 2020 l’anno d’oro della quotazione in borsa (ci spera ancora) e si è ritrovato a piangere – sì, letteralmente – in casa da solo davanti a un computer.

Un po’ di numeri sul turismo in generale? Eccoli qui:
– perdite tra 910 e 1.200 miliardi di $
– diminuzione di turisti tra il -58% e il -78%

Roberta Milano, Academic Advisor del Buy Tourism Online, commenta così, sul suo profilo Facebook:

«In Italia, che dipendeva per oltre il 50% dal turismo internazionale, potete immaginare l’effetto sulle grandi città, sul turismo enogastronomico, sull’intera filiera. Ma non è questione solo di numeri. C’è un cambiamento profondo in atto che va compreso, seguito nel suo evolversi. Una situazione senza precedenti che sta modificando comportamenti (viaggi in auto, riduzione viaggi di lavoro) e il concetto stesso di vacanza. Intere categorie di operatori devono improvvisamente ripensarsi per sopravvivere: agenzie di viaggio, compagnie aeree, tour operator, crociere, guide turistiche, ristorazione). Mai come quest’anno, auguro attenzione, investimenti, strategia e visione per una ripresa il più veloce possibile».
Mai come quest’anno, auguro attenzione, investimenti, strategia e visione per una ripresa il più veloce possibile».

Impeach or not impeach

C’era anche la politica internazionale e, udite udite, si parlava (ancora) di Brexit, dalla quale mancava un mese, o meglio pensavamo mancasse un mese. Alla fine, a quasi 4 anni e mezzo dal referendum se ne parla ancora, e di accordi ancora non ce ne sono. È una storia infinita. Se non vi ha ancora annoiato, qui c’è un articolo che cresce con lei.

Ma c’era un altro argomento che quella settimana, esattamente il 24 settembre 2019, si affacciò nel dibattito pubblico e sulle prime pagine dei giornali come una notizia destinata a sconvolgere il futuro degli Stati Uniti a un anno dalle elezioni: l’impeachment a Donald Trump.

Sembrava che dovesse venire giù l’universo, oltre che Trump. Ma come è andata a finire? Come entrambe le altre volte che la procedura è stata messa in atto negli USA, contro Andrew Johnson nel 1868 e contro Bill Clinton nel 1998: con un nulla di fatto (se vuoi capire perché, questo è l’articolo che puoi leggere). E nonostante il chiasso che aveva fatto il suo annuncio, il fiume in piena si è risolto in un rivoletto e noi non ce ne siamo quasi nemmeno accorti. La giostra è ripartita e ora si parla addirittura di un secondo tentativo di impeachment a poche settimane dalle elezioni presidenziali. Ma intanto malissima tempora currunt, per citare i latini, perché proprio in questi giorni si è entrati in una fase nuova della campagna elettorale con il primo, assurdo e caotico dibattito Trump – Biden.
È l’argomento del giorno proprio ora che scriviamo queste righe, ma scommettiamo che ci terrà impegnati per poche ore, fino alla prossima fiammata, come i 750 dollari della straordinaria inchiesta del New York Times che si perderanno diluiti nel flusso. Trump è ancora Presidente e, nonostante alcuni stentino ancora a crederci, non sarebbe affatto una sorpresa se vincesse di nuovo le elezioni e si prendesse il secondo mandato.

Alla prossima

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